Estrattivismo e finanza: la nuova "miniera" della povertà

Stefano Rota - Associazione Transglobal

Il 19 ottobre scorso è uscito un articolo sul New York Times con il seguente titolo: “A boom in credit cards, great news for banks, less so consumers”, un’esplosione di carte di credito, ottime notizie per le banche, meno per i consumatori. Basterebbe scorrere e guardare le foto che inframmezzano il testo per rendersi conto di quale sia l’oggetto trattato; leggendolo, lo scenario appare ancora più eloquente. Le banche hanno trovato una nuova “miniera” (per riprendere il parallelo utilizzato di recente in un altro articolo qui pubblicato, dove si accostavano le operazioni di estrattivismo in senso stretto a quelle più sofisticate che hanno come terreno di intervento i corpi) nell’indurre milioni di persone a basso o bassissimo reddito all’utilizzo del credito per far fronte alle esigenze quotidiane.

Le foto dell’articolo citato mostrano, in apertura, una signora afroamericana su una sedia a rotelle, con la bombola dell’ossigeno collocata nella sua parte posteriore, nel soggiorno di una casa certamente non nel cuore di Manhattan. Le foto che seguono mostrano un cestino pieno di farmaci e, in quella ancora successiva, una quantità impressionante di carte di credito di proprietà della stessa signora.

 

Il riferimento all’assoggettamento è tutt’altro che casuale: nell’ultimo decennio si è consolidato il profilo di un nuovo soggetto, come ha ben argomentato Maurizio Lazzarato (La fabbrica dell’uomo indebitato, Roma, 2012), fortemente connotato dall’indebitamento. La capacità pervasiva del sistema bancario di andare a interagire con la componente psichica della soggettività dove si forma e vive il desiderio, porta al “governo” di quello stesso desiderio, a definire le modalità della sua traduzione in azioni, per quanto controproducenti possano essere per l’individuo, a scegliere quali mantenere e quali reprimere. L’organizzazione delle strutture di riferimento – da quella sanitaria, a quella scolastica, a quella dei grandi magazzini e molto oltre – è ovviamente del tutto compatibile, direttamente funzionale, allo sviluppo di questa soggettività; le proposizioni culturali massmediatiche la “normalizzano”, facendola apparire come naturale, indiscutibile.

Se questa condizione di indebitamento in genere non rappresenta una novità, questa può essere invece individuata nella capacità perversa e predatoria del capitale finanziario di modificare il proprio terreno di conquista, individuando nelle classi meno abbienti il nuovo ambito da cui estrarre rendita.

 

L’articolo del NYT descrive con la solita precisione cosa significhi per milioni di persone trovarsi con debiti di cui, il più delle volte, non riescono neppure a pagare gli interessi e, dall’altro lato della barricata, gli enormi surplus finanziari che le principali banche americane stanno costruendo su queste logiche estrattive.

 

La finanziarizzazione della povertà trova quindi nell’articolato ed efficiente sistema che sostiene ed è sostenuto dall’”american way” un terreno molto fertile per sperimentare forme estrattive di rendita nella bioeconomia che mette a valore l’intero tempo di vita, che struttura “la dimensione fantasmatica delle norme sociali”, che definisce una normatività interna alla “realtà psichica, che costituisce lo strumento e la sorgente della sua effettività continuata” (J. Butler, E. Laclau, S. Zizek, Dialoghi sulla sinistra, Bari, 2010, pag. 153). E’ questa “effettività continuata” che costituisce l’elemento di forza del successo del sistema finanziario: il debito appare come risolvibile con un ulteriore debito, la possibilità di procrastinare la sua (molto spesso illusoria) estinzione non fa altro che produrre ulteriore debito e surplus finanziario per le banche che lo erogano.

Questa pratica, se si manifesta nella sua forma più estremizzata e pervasiva negli Stati Uniti, trova anche in aree a noi più contigue una chiara applicazione in due ambiti specifici: la gestione da parte del governo italiano dello strumento di recentissima (e discutibilissima) applicazione per il “contrasto” alla povertà, il reddito d’inclusione, o REI, da un lato, e l’universo delle migrazioni, con modalità e finalità diverse, dall’altro.

 

Per quanto riguarda il primo, più che un rischio per il consumatore, sembra essere solo un’opportunità di rendita offerta a quello che si sta imponendo ultimamente come uno dei maggiori provider di servizi finanziari, quanto meno per la sua capillare distribuzione territoriale, Poste italiane, da sempre attento a intercettare le esigenze e le disponibilità dei ceti meno abbienti. Va ricordato che il sistema di credito di Poste Italiane si appoggia alla Deutsche Bank, la quale emette direttamente le carte di credito, fidi e prestiti a persone in possesso di un conto Bancoposta. I due miliardi a oggi stanziati dal governo per l’erogazione di questo credito non saranno certamente depositati presso le casse dell’istituto finanziario privatizzato di Poste Italiane sulla base di principi umanitari, ma come vera e propria operazione di finanziarizzazione della povertà. Non sono ancora chiari i meccanismi che regoleranno la disponibilità e l’uso del valore depositato mensilmente sulla carta, se sarà utilizzabile in determinati circuiti commerciali e non in altri, così come le condizioni reali per il mantenimento di tale sussidio (quali percorsi e modalità formative e lavorative verranno considerate irrinunciabili per non vederselo annullare). In ogni caso, l’operazione finanziaria sembra rientrare a pieno titolo nello schema di funzionamento sopra descritto.

I 17 milioni di cittadini a rischio povertà si stanno trasformando, loro malgrado, in un business finanziario e di “governamentalità” di notevole portata.

 

Per darsi uno strumento in più nella comprensione di come questi meccanismi agiscano tanto nell’ambito appena descritto, quanto in quello relativo al mondo dei migranti, va riportato brevemente un concetto recentemente trattato nell’importante articolo di S. Mezzadra e B. Neilson “Between Extraction and Exploitation: On Mutations in the Organization of Social Cooperation”, in corso di pubblicazione su Actuel Marx, centrato sul rapporto tra cooperazione e costituzione di una soggettività collettiva. il tema della cooperazione viene trattato a partire dalla lettura che Marx stesso fa della cooperazione come “la creazione delle condizioni oggettive del processo che consente l'emergere della nuova soggettività collettiva del lavoro”. Ma, avvertono i due autori, per Marx questo non significava un processo autonomo della classe lavoratrice: al contrario, “Tutte le forze sociali di produzione sono forze produttive di capitale, […]. L'associazione degli operai, così come si manifesta nella fabbrica, non è quindi messa in pratica da loro, ma dal capitale” (citato passaggio da K. Marx, Grundrisse, Harmondsworth, 1973, pag. 585).

 

Facendo un doveroso passo in avanti rispetto alla lettura di Marx centrata sul lavoro in fabbrica, Mezzadra e Neilson mettono in evidenza il modo in cui il lavoro vivo sia oggi interessato da un “intervento verticale di altre operazioni di capitale - da operazioni estrattive di capitale”. Tra queste, la finanza svolge un ruolo di assoluta centralità: “Analizzando i modi in cui le operazioni finanziarie sincronizzano e comandano l'accumulazione di capitale e analizzando il coordinamento logistico di ambiti e processi sociali e produttivi, possiamo individuare logiche di "definizione" e acquisizione di valore che devono essere colte nella loro specificità, [in un contesto in cui] la composizione eterogenea del lavoro e della cooperazione sociale emerge come la principale forza produttiva”.

“La finanza diffonde modelli di instabilità e rischio in tutto il tessuto dell'economia e della società. […] In termini molto generali, possiamo definire la finanza, citando un recente libro di Cédric Durand (Le Capital Fictive. Comment la Finance s’Approprie Notre Avenir, 2015, 187), come ‘un accumulo di diritti di prelievo sulla ricchezza che deve ancora essere prodotta, che prende la forma dell'indebitamento privato e pubblico, capitalizzazione in borsa e vari prodotti finanziari’” (Tutti i passaggi riportati sono in inglese nel testo, traduz. mia) .

 

La forma collettiva del soggetto della cooperazione agisce come motore del processo di finanziarizzazione in senso generale e, nello specifico, della povertà. Così come a fine secolo XIX per la produzione in fabbrica, anche questa forma di cooperazione sono “forze produttive di capitale”: è quest’ultimo che le costituisce, le organizza, le orienta attraverso forme persuasive che non assumono il carattere coercitivo del lavoro di fabbrica di 150 anni fa, ma tramite pratiche discorsive  e articolazioni che sanciscono la costituzione del soggetto indebitato e l’interiorizzazione psichica delle norme che vi sono sottese. La cooperazione, in questo caso, non si palesa in un ambito lavorativo specifico, ma nell’ agire condiviso di “vite di lavoro”  al cui centro vi è il “coordinamento logistico di ambiti e processi sociali e produttivi” da parte della finanza.

 

Nel variegato mondo delle migrazioni l’uso dello strumento finanziario come luogo del coordinamento logistico delle vite agisce in vari modi e con finalità differenti, anche al netto degli strumenti classici di sostegno all’imprenditorialità, o comunque direttamente impiegati nelle attività lavorative in senso stretto. Il trasferimento di denaro sta assumendo forme sempre più sofisticate e client oriented, con l’offerta di servizi aggiuntivi, quali l’organizzazione del risparmio su un conto nel paese d’origine o la possibilità di diventare un partner sotto forma di promoter del servizio, secondo le logiche di funzionamento della gig economy, i maggiori istituti finanziari si strutturano sempre più per intercettare i migranti e le loro specifiche esigenze. Oltre a ciò, si stanno sviluppando altri strumenti che interagiscono direttamente con la vita dei migranti, soprattutto per quanto concerne l’arrivo di familiari dal paese d’origine: brokers internazionali sono in grado di offrire fideiussioni molto competitive nel contesto nazionale, perché gestite direttamente sui mercati finanziari globali. Il cittadino che fa richiesta di ricongiungimento familiare deve presentare una disponibilità di denaro contante che in molti casi non possiede, dovendo quindi fare ricorso all’acquisto di tali fideiussioni, che gli consentono di far fronte, in caso di bisogno, a spese sanitarie, di rimpatrio o altro.

Ciò nonostante, è nella gestione finanziaria della presenza di profughi, rifugiati e richiedenti asilo dove si evidenziano le operazioni più innovative e chiaramente riconducibili alla trasformazione della povertà, o del disagio, in un business finanziario e alla definizione di tecniche di governamentalità.

Nel luglio 2016 viene pubblicato un documento redatto dall’UNHCR e dal Social Performance Task Force, dal titolo piuttosto evocativo: Serving refugee population. The next financial inclusion frontier. Nelle oltre 40 pagine che lo compongono, sono descritte con precisione le motivazioni che dovrebbero muovere i Financial Service Providers a spingersi nella zona di frontiera costituita dal mondo dei migranti, individuando al suo interno un soggetto con esigenze variabili, a cui offrire strumenti adatti.

 

Vengono definite quindi le fasi di cui si compone il processo migratorio: dall’arrivo, alla prima fase dell’insediamento, alla stabilizzazione dello stesso, fino alla definizione della permanenza, inclusa l’eventualità del rientro al paese d’origine. Per ciascuna di queste fasi sono elencati i servizi finanziari da offrire al migrante, al fine di farne un soggetto totalmente “bancabile”, propenso ad andare oltre quella “natura psicologica della povertà che condiziona l’uso di servizi finanziari. Lo stress abbassa la propensione al rischio, e spinge verosimilmente a prendere decisioni con benefici più a breve che a lungo termine”.  

Foto tratta da: European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations https://ec.europa.eu/echo/essn_en  

Per dare un’idea di come questo processo avvenga, si descrivono qui di seguito due realtà, molto diverse tra loro sotto molteplici punti di vista: La Turchia e la Svezia.

Nel primo caso, si tratta di un programma finanziato dalla Commissione Europea, l’Emergency Social Safety Net, che prevede l’erogazione di carte di credito ai profughi, su cui viene disponibilizzato un valore che varia a seconda della composizione del nucleo familiare, per una media di circa 30 euro a persona al mese; tale valore consente di effettuare acquisti di varia natura per il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Il programma, che ha già raggiunto oltre un milione di cittadini siriani rifugiati in Turchia, viene implementato dalla collaborazione tra Ue, WFP, la mezzaluna turca e il governo turco, come si legge nel sito del programma stesso.

Ma la cosa più interessante di questa operazione finanziaria è il suo principale attore, la Halk Bankasi (Banca del popolo), una delle maggiori banche turche di proprietà dello Stato. E’ una banca di importanza strategia tutt’altro che marginale, dato il ruolo che ha avuto all’inizio di questo decennio nel finanziare gli interessi petroliferi dell’Iran, aggirando le sanzioni imposte dalla comunità internazionale, e coinvolta in importanti scandali di corruzione, che hanno coinvolto anche alti funzionari del governo dell’allora primo ministro e attuale presidente Erdogan.

La Halk Bankasi vede così entrare nel suo giro d’affari un valore di svariate decine di milioni di euro mensili, erogati poi in Lire turche, che rendono immediatamente produttivi – semplicemente attraverso la loro presenza, la loro vita - l’altissimo numero di profughi siriani che beneficiano e in misura ancora maggiore beneficeranno di questo servizio.

 

In Svezia il sistema di finanziarizzazione del profugo presenta caratteristiche piuttosto differenti, come è logico attendersi. Dal punto di vista organizzativo, il sistema di accoglienza svedese è certamente uno dei più avanzati, offrendo diverse possibilità al richiedente asilo per quanto concerne la sistemazione e il percorso di inclusione socio-lavorativa. L’offerta viene corredata e sostenuta dalla disponibilizzazione di una carta di credito, sulla quale è caricato mensilmente il valore che l’apparato di governance del sistema riconosce al richiedente asilo/rifugiato.

Anche in questo caso, vale la pena descrivere il financial service provider che agisce direttamente a questo scopo. Si tratta della banca del gruppo ICA, un colosso dell’economia svedese, con attività nel campo della grande distribuzione, del mercato immobiliare, della farmacologia e dell’arredamento.

Come viene descritto nel sito dello Swedish Migration Agency, il titolare della carta di credito può fare acquisti e ritirare cash direttamente negli stores del gruppo ICA, un modo per valorizzare due volte il denaro depositato dal governo per i destinatari.

 

La povertà, il disagio stanno diventando sempre più, come ricorda il titolo stesso del documento dell’UNHCR sopra riportato, la frontiera in cui avventurarsi per gli operatori finanziari, cercando di agire proprio su quella dimensione psichica di cui si è detto all’inizio. Lo stress, il senso di incertezza, lo smarrimento, ma potremmo anche aggiungere un certo tipo di approccio culturale all’investimento nel breve o lungo periodo, vengono visti come gli elementi da affrontare per creare nuovi clienti, per valorizzare all’interno del circuito welfare, finanza, logistica, distribuzione commerciale i bisogni e i desideri di un numero sempre maggiore di persone.

 

Con questo non si intende dire che le conseguenze di tale sistema non possano avere aspetti positivi per i destinatari ultimi: il mondo finanziario sa bene che non può solo estrarre. La cosa certa è che tale estrazione produrrà profitti enormi per quel sistema di logistica e finanzia che sempre più vede nei corpi, inclusi quelli dei più bisognosi, la nuova miniera in cui scavare in profondità.

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